VIETATO SCRIVERE!

VIETATO SCRIVERE!

Vietato scrivere. Come soffocare la scrittura delle donne.

Pubblicato nel 1983, e poi ristampato nel 2018, è stato di recente tradotto e pubblicato per la prima volta in Italia lo straordinario testo di Joanna Russ. Se oggi abbiamo la possibilità di leggerlo in italiano lo dobbiamo alla curiosità e alla determinazione di Chiara Reali che lo ha “scoperto” e tradotto insieme a Dafne Calgaro e lo ha proposto per la pubblicazione all’Enciclopedia delle donne. Le due parole Vietato scrivere sono state aggiunte al titolo originale dalla traduttrice, e suonano come un vero grido di rabbia! Unico nel panorama della saggistica femminista, possiamo definirlo un’incursione nelle strategie usate per sminuire, arginare, condannare la scrittura delle donne. Corredato da esempi e citazioni e un accurato apparato bibliografico, il libro attraversa il mondo del Canone letterario occidentale dall’800 ad oggi e se alcune di queste strategie possono apparire datate, a tratti persino pittoresche, qua e là risuonano di sinistra attualità. Quando lo concepì e lo scrisse Joanna Russ si era già affermata nel corso degli anni ’70 come scrittrice di fantascienza, un genere quasi totalmente connotato al maschile; la sua voce unica per la capacità di immaginare mondi ridisegnava il genere utopico in chiave visionaria ed esplicitamente femminista, di cui il suo Female Man resta un caposaldo (che verrà pubblicato da Mondadori Oscar nel 2022 con la traduzione di Chiara Reali). Quali sono dunque le strategie messe in campo per emarginare la scrittura delle donne e sostanzialmente mettersi al riparo da essa? Russ le elenca, un capitolo dopo l’altro, qua e là non senza ironia. Nel primo si parla dei divieti, quelli espliciti e quelli informali derivanti dalla mancanza di mezzi e di autonomia, e di tempo per sé. Eppure scrivono! E quando i divieti non funzionano eccole rinchiuse dentro categorie svantaggiate in partenza, operazione che colpisce non soltanto le donne. Ma una delle tecniche più avvilenti è la negazione dell’agency (non può averlo scritto lei), o della contaminazione dell’agency (L’ha scritto, d’accordo, ma non avrebbe dovuto). E forse questo spiega il motivo del ricorso a pseudonimi o nomi maschili fino ai primi del ’900. Quando le scrittrici si permettono di scrivere apertamente di “certe cose”, ecco che la loro scrittura viene bollata come imbarazzante, troppo personale, “confessionale”. Tale è definita l’opera di Sylvia Plath ma non quella di Allen Ginsberg! Quando anche questi ostacoli vengono superati e la nostra scrittrice scrive quello che vuole, allora entra in gioco un’altra strategia, anche più potente delle altre, denigratoria nella sostanza: quella dei due pesi e due misure, e cioè la svalutazione dell’esperienza femminile e la sua invisibilità sociale. (L’ha scritto lei, ma guarda di che cosa ha scritto), e un intero mondo viene così cancellato, come aveva ben argomentato Virginia Woolf. Nonostante tutto alcune sono riuscite ad entrare nel Centro del canone letterario Grande ed Eterno (l’ ironia di Russ!), e quando ciò avviene entra in gioco la categoria della conquista isolata, per cui c’è una sola ed unica opera che merita di essere presa in considerazione, e tutto il resto viene cancellato (come è successo a Austen e alle Bronte); e poi quelle come lei sono rare, non hanno proseliti né discendenti, e si esclude così la possibilità che possano servire da modelli per altre. “Senza modelli risulta difficile lavorare. Senza un contesto, difficile valutare”, scrive Russ.

Eppure ci riescono, e sempre più appaiono scritture che crescono fuori da quel Centro, “perché i germogli e le cellule iniziano a crescere dai margini, dalle periferie”. Questa può essere la fine della parabola: lavorare dai margini, dare l’assalto a un centro che non può esistere più se continua a pensarsi maschio, bianco, di classe media. Lei stessa, consapevole di avere un’esperienza inadeguata ad entrare nella Grande Letteratura, dice di aver scelto un realismo travestito da fantastico, la fantascienza. E da lì, da quel margine, racconta. Arrivata all’ultima pagina afferma di non sapere come concludere il suo lavoro, e affida la conclusione alle donne. Finiscilo tu. Portala avanti tu questa storia, io ti ho indicato la strada.

In una vibrante postfazione Nicoletta Vallorani riprende i temi sollevati da Russ con un riferimento particolare alla fantascienza. Ricorda il tentativo della casa editrice La Tartaruga negli ultimi anni ’80 di dedicare alla fantascienza delle donne una collana (La Tartaruga blu) diretta da Oriana Palusci e Luciana Percovich, impresa fallita dopo pochi titoli. Oggi il panorama è notevolmente cambiato e non per magnanime concessioni: anche noi, ricorda Vallorani, abbiamo le nostre pioniere, da Lidia Curti a Marina Vitale e Liana Borghi; e la rivista Leggendaria ha dedicato un numero speciale alla Mixtopia, coniando un felice neologismo che bene illumina questo connubio tra Utopia e Distopia tipico della scrittura fantascientifica delle donne. Sono sempre di più quelle che si sono già messe in viaggio nei territori sterminati della fantasia, inventando mondi. Proprio come chiedeva Joanna Russ: Finiscilo tu!