Camminare controvento

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Baccalà brandacujun

Per questo piatto dal sapore deciso ma insieme delicato, si può usare il baccalà ma anche lo stoccafisso. Io preferisco il baccalà. E’ una preparazione in apparenza semplice, ma che richiede una certa manualità. Vale la pena provarci. Più avanti vi spiego l’origine del nome. Ingredienti: del baccalà dissalato possibilmente alto e morbido, delle patate farinose, aglio, prezzemolo, olio, succo di limone. In una pentola d’acqua si mettono a lessare le patate tagliate a pezzi non troppo grossi e il baccalà a pezzi. Il baccalà cuoce in circa 15 minuti, dovete calcolare che arrivino a cottura insieme perché tutto va lavorato a caldo. Quando il baccalà è cotto scolatelo e privatelo di lische, spine e pelle e riducetelo con le mani in piccole scaglie; schiacciate le patate con la forchetta e mettete il tutto in una terrina o in una piccola pentola, che possano essere chiuse con un coperchio. Sul fondo mettete l’olio, in abbondanza prezzemolo e aglio tritati, il succo di un limone. Aggiungete le patate e il baccalà sminuzzato, mescolate con impegno, poi mettete il coperchio e iniziate a scuotere il recipiente tenendolo saldamente tra le mani. Fatelo saltare. Se lo farete bene risulterà una purea amalgamata al punto giusto, in cui i due ingredienti siano mescolati tra loro pur conservando la propria consistenza. E’ un gioco d’equilibrio, e l’uso di mixer e frullatore è assolutamente vietato oltre che controproducente. Si mangia tiepido.

Sull’origine del nome ci sono almeno un paio di versioni: la più accreditata spiega che vista la forza necessaria allo scuotimento del recipiente questa incombenza era riservata all’uomo di casa, che seduto su una sedia teneva il tegame fermo tra le gambe….E’ utile sapere che in Francia lo stesso piatto si chiama Brandade.

 Palle di neve

Questo è il nome con cui mia mamma chiamava questo dolce particolare, che ha preparato solo poche volte, ma abbastanza per non dimenticarlo più. E’ un dolce francese, e il suo nome oltre confine è Ile Flottant (Isola galleggiante), ma ho scoperto che da qualche parte viene chiamato anche Oeuf à la neige. Nel ricettario di cucina ventimigliese, Audù de foegurà, si chiama invece Meringa di San Secondo, il patrono della città, forse perché si preparava in quella ricorrenza. E’ un dolce semplice ma scenografico. Consiste in una crema pasticcera fatta con i tuorli d’uovo che servirà da letto su cui si adagiano delle piccole meringhe fatte con gli albumi avanzati dalla preparazione della crema. Si fa così: con tre tuorli d’uovo, 90 grammi di zucchero, 60 grammi di farina e mezzo litro di latte si prepara una crema pasticcera; gli albumi si montano a neve fermissima, si fa bollire mezzo litro di latte con due cucchiai di zucchero, si prende il composto di albumi con un cucchiaio e si versa a cucchiaiate nel latte rigirandoli con delicatezza finché non si rassodano. Il latte deve fremere ma non bollire per non rischiare di rompere le meringhe. Man mano si scolano con un mestolo bucato e si adagiano sul letto di crema. Si cospargono con polvere di cacao o con un cucchiaino di crema ottenuta sciogliendo del cioccolato fondente con un po’ di latte.

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I Benardi

Si tratta di un pane semi dolce a base di farina di mais della tradizione ventimigliese, che proviene da un tempo in cui per preparare i dolci si usava poco la farina bianca, più rara e costosa, ma quella di mais e di castagne. Il nome richiama San Bernardo, forse perché veniva consumato nei festeggiamenti dedicati al Santo Patrono il 20 agosto nelle contrade intorno alla città di Ventimiglia. Si preparava nelle case e nei forni della città vecchia, quando la vita era prevalentemente concentrata lì, fino agli anni ’50. Scomparsi per alcuni decenni, sono poi stati riscoperti da alcuni forni diventando oggetto di studio e riproposizione di antiche ricette. Averli ritrovati per me è stata una gioia. E ancora di più aver imparato a farli.

Ecco gli ingredienti per ottenere sei piccoli filoni di Benardi:

250 gr. di farina di mais fioretto, 250 gr. di farina bianca 0, mezzo bicchiere di olio d’oliva, un cucchiaio di zucchero, 100 gr di uvetta, due pizzichi di semi di finocchio, un cucchiaino di sale, 25 gr di lievito di birra sciolto in mezzo bicchiere d’acqua tiepida.

Si mescolano le due farine e si fa la fontana, si aggiunge lo zucchero, il lievito sciolto nell’acqua e gli altri ingredienti; si mescola e si impasta bene aggiungendo acqua tiepida se occorre; l’impasto deve restare consistente e morbido. Si fa una palla che si mette a lievitare coperta e in un posto caldo per un ‘ora e più. Quando è lievitata si taglia in sei pezzi e si formano i filoncini, praticando dei tagli in superficie con il dorso della mano o con il manico di un cucchiaio di legno, che serviranno per spezzare il filoncino quando sarà cotto. Si aggiustano in una teglia bassa unta d’olio, un po’ distanziati perché cuocendo si allargano, e si mettono ancora a lievitare coperti per un paio d’ore . Si cuociono per 30/40 minuti a 180 gradi, ma dovrete regolarvi, controllando quando vi sembrano dorati .

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