I ravioli di Natale, mia madre e io

I ravioli di Natale, mia madre e io

Più passano gli anni e più penso a lei. Quasi ogni giorno. Con il tempo dovrebbe accadere il contrario, e invece no. A volte basta un lampo nello specchio, mi guardo e la rivedo nello stesso lampo. Pensavo di non somigliarle e invece mi vedo sempre più uguale a lei, anche nei piccoli gesti. Oggi poi mentre preparavo i ravioli il pensiero era incessante. Cucinava bene, senza stravaganze, poche cose buone molto ben fatte, ma i ravioli li faceva solo per Natale. Il tutto avveniva in fretta, la sera del 24 dopo cena, nell’intervallo di tempo fino alla Messa di mezzanotte.

All’inizio guardavo soltanto, come muoveva le mani, i suoi commenti a proposito della sfoglia, del ripieno. Non permetteva che toccassimo niente, nessuno poteva mettere le mani sulla tavola, nemmeno io che ero la più grande. Non mi ha mai insegnato niente di cucina, diceva che era inutile che perdessi tempo, ero intelligente e dovevo pensare solo a studiare. Da sposata avrei avuto la cameriera, diceva, quasi con tono di sfida nei confronti della propria vita, dei sacrifici che aveva fatto, degli studi che le erano stati negati. E non mi insegnava niente. Ma penso che in fondo fosse convinta che non sarei stata capace, non brava come lei. Crescendo avevo pian piano conquistato delle postazioni e delle incombenze: dovevo disporli in file ordinate man mano che erano pronti, contarli. Era molto importante tenere il conto, e per poterli contare dovevano essere affiancati in file ordinate. Un’abitudine che conservo, quasi maniacale. Quest’anno ne ho fatti più dello scorso anno, diceva, erano duecento, a quanto siamo? Una sfida, per superarsi. Quest’anno sono più buoni dell’anno scorso, avrebbe commentato il giorno dopo all’assaggio. Il passo successivo, quello che mi rendeva aiuto cuoca, era tagliarli con la rotella, dopo aver ripiegato la pasta e schiacciata ai lati con i pollici, ma attenta a non lasciarci l’aria se no si rompono quando cuociono. Invariabilmente capitava che qualcuno venisse con l’aria…cosa che la irritava non poco. Ha continuato a prepararli finché il mal di schiena non è diventato troppo fastidioso. E da allora il pranzo di Natale non è più stato lo stesso. Ho esitato molti anni prima di provare a cimentarmi, convinta che non sarei stata capace. Per telefono le spiegavo come stavo preparando il ripieno, non sempre approvava: perché tre tipi di verdure? Ne bastano due. Troppo parmigiano, sapranno solo di formaggio. Mai che mi desse delle quantità precise. Ma che ne so, commentava, faccio tutto a occhio. Ma ogni volta i gesti venivano fuori sempre più naturali, come se gli anni passati a guardarla avessero coltivato una memoria delle mani. Non avevo mai fatto la pasta, eppure non si è mai rotto nemmeno un raviolo in cottura. E la pasta mi viene morbida e liscia, compatta. E anche per il ripieno ripeto i suoi gesti, assaggio e assaggio, modifico, aggiungo qualcosa, finché il sapore non è perfetto. Per me, ma credo anche per lei, se li assaggiasse.