Vincoli, l’ultimo appassionante libro di Kent Haruf

Vincoli, l’ultimo appassionante libro di Kent Haruf

Quando uno scrittore o una scrittrice entra nel cuore del grande pubblico, per i motivi più diversi, le case editrici si affrettano a stampare tutto quello che hanno scritto, anche molto tempo prima della fama; quando si tratta di stranieri ecco che vengono tradotti e pubblicati, spesso in ordine sparso. Così succede di frequente che l’ultimo libro ad uscire sul mercato editoriale sia in realtà il primo e se questo può disorientare sul percorso di scrittura, a volte ci svela ancora qualcosa sulla vena creativa che tanto ci ha appassionato. Ecco quindi, di Kent Haruf, Vincoli. Alle origini di Holt, che ci racconta appunto ancora qualcosa della cittadina di Holt prima della Trilogia della pianura, che ha reso celebre, meritatamente,  il suo autore e i suoi eroi e eroine del quotidiano.

La vicenda si svolge dal 1896 al marzo del 1977, in una Holt ancora arida, in cui l’unico orizzonte è occupato dai campi di granturco. C’è la fatica della terra, la vita dura che non lascia scampo, da cui non esiste possibilità di riposo né di fuga. Anche i sogni sono sconsigliati, perché sarà molto difficile fare qualcosa per realizzarli. Ci sono cavalli e mandrie, uomini e donne che spingono avanti la vita chiusi in un opprimente senso del dovere, di ciò che va fatto e basta. Fino alla morte. E’ un mondo prevalentemente maschile, dove gli uomini sono molto restii ad esprimere sentimenti, anche quando li provano, e le donne svolgono in silenzio il duro lavoro di consentire alla vita di andare avanti, ogni giorno. Produzione e riproduzione. Un mondo primitivo e conturbante, che lo scrittore racconta con amore. Recita così una frase scolpita nella quarta di copertina:

Questo libro è per le spighe di grano, per le mucche, per i cieli d’estate e la neve, per le stelle e l’erba, per la polvere e il dondolo, per una crostata di ciliegie e per le cartoline; ma questo libro è soprattutto per gli acerbi ragazzi che eravamo, per i dettagli in cui ci siamo persi, per i guai che ci hanno ammaccato, e per la porta che siamo riusciti ad aprire, finalmente liberi di vivere giorni più luminosi.

Ma soprattutto, aggiungo io, questo libro è per Edith. E’ lei il personaggio che giganteggia su tutti, sua è la storia. Edith è una donna che deve farsi forte, che sa quando è il caso di concedersi un sogno e quando a quel sogno occorre rinunciare. Semplicemente perché si deve. A qualunque costo. Non vi svelerò la storia, vi dirò solo che ho provato la stessa tenerezza e tristezza per lei di quella provata per i protagonisti di Le nostre anime di notte. Per la sua mitezza e per la sua forza, per il suo coraggio e la sua caparbietà. Per il dolore sopportato. Per aver saputo aprire il proprio cuore, e averlo poi accuratamente richiuso. Agendo di conseguenza.

All’inizio della storia ha ottant’anni e giace in un letto d’ospedale, con un ago infilato nel dorso della mano e un uomo che la sorveglia in corridoio, fuori dalla sua stanza. Ma nel corso del romanzo conosceremo tutto della sua vita, raccontata da chi l’ha condivisa molto da vicino.

” Non so se quella sera per loro ci fosse la luna oppure no. Ma spero di sì, una luna piena, perché almeno una volta nella vita Edith Goodnough meritava di essere vista in quella pallida luce azzurra”.

Per Edith, che mi resterà nel cuore.