Anna Banti e Artemisia

Anna Banti e Artemisia

La sera del 25 novembre a Pescara il Magfest ha proposto uno spettacolo teatrale che rievoca un immaginario incontro tra Anna Banti e Artemisia Gentileschi  intitolato Le rovine del tempo, recitato da Teresa Ruggeri con la regia di Julia Varley. A seguire si è tenuta una breve conversazione a cui ho partecipato insieme a Annamaria Talone, Rita Pellegrini e Sibilla Panerai. Avevo solo qualche appunto e ho parlato seguendo la suggestione del mio amore per Anna Banti, ma dato che molte delle presenti me lo hanno chiesto, provo a ricostruire il mio intervento, iniziando dal tempo della scoperta di questa grande scrittrice. artemisia

Avvenne con la raccolta di racconti pubblicata dalla gloriosa casa editrice La Tartaruga, che tanto ha fatto per diffondere la conoscenza del mondo delle scrittrici, dal titolo Il coraggio delle donne, in una edizione del 1983, che raccoglieva alcuni dei racconti presenti in due distinte raccolte: una del 1940, Il coraggio delle donne, e l’altra del 1952 dal titolo Le donne muoiono (titoli tratti da due racconti). In apertura una bella prefazione di Grazia Livi, che in seguito avrebbe approfondito la figura di Anna Banti nel suo splendido Le lettere del mio nome.

Chi sono le donne raccontate da Anna Banti? Sono donne offese dalla vita, dagli uomini, padri o mariti che siano, dal destino, da un mondo che non le prevede come soggetti liberi di determinarsi costringendole a una subalternità alla quale in qualche modo cercano di ribellarsi. Ma mai con lamenti, spesso con un unico straziante grido di rivolta, consapevoli che la loro salvezza dovranno procurarsela da sole. Donne che potremmo definire perdenti, ma mai sconfitte del tutto, mai rassegnate. In attesa del momento giusto, e intanto tengono sotto il cuscino un coltello a serramanico. Perché non si sa mai. Alcuni di questi racconti sono autentici capolavori, qualcosa che non era mai stato scritto prima, come Lavinia fuggita, o il visionario Le donne muoiono.

il coraggio

In mezzo a queste due date Anna Banti scrive Artemisia, e lo fa per due volte; la prima nel 1944, e nell’agosto dello stesso anno il manoscritto viene distrutto nel bombardamento di Firenze. Da questa vicenda tragica nasce la seconda versione del romanzo, pubblicato nel 1947, che non è una semplice riscrittura della versione precedente, ma qualcosa di diverso, che si nutre proprio di quella perdita e la trasforma in un romanzo che è anche la storia di una scommessa e di un risarcimento, una sfida con sé stessa e con il destino avverso che dà alla luce un capolavoro che non ha eguali nel panorama della letteratura del tempo, e non solo. In questa seconda versione la scrittrice mescola le carte, entra in relazione diretta con la pittrice di cui sta narrando la storia, le due donne si parlano, le loro voci si intrecciano, il presente e il passato si alternano senza un ordine prestabilito, come obbedendo a una necessità interiore. Diario a due voci, romanzo storico e di fantasia insieme, perché là dove la ricostruzione storica non sorregge la scrittrice inventa e noi non possiamo fare a meno di credere che Artemisia sia proprio così come lei ce la racconta. images

“Non piangere.”, con queste parole si apre il romanzo, e in questa prima scena la scrittrice scalza, tra le macerie della propria casa distrutta, angosciata per la perdita della sua creatura, sente la voce di lei che le intima di non piangere, di non rassegnarsi. E la scrittrice obbedisce a quella voce. “Sotto le macerie di casa mia ho perduto Artemisia, la mia compagna di tre secoli fa, che respirava adagio, coricata da me su cento pagine di scritto. Ho riconosciuto la sua voce mentre da arcane ferite del mio spirito escono a fiotti immagini turbinose.” E così via via acquista nuova vita la grande pittrice, le tappe delle vicende che la vedono bambina ribelle, sempre sola, attenta agli insegnamenti severi del padre Orazio Gentileschi, pittore di una certa fama, che le insegna i primi rudimenti della sua arte. All’età di 16 anni la violenza subita ripetutamente da un amico del padre, il quale denunciò il violentatore dando inizio ad un processo, nel corso del quale la ragazza subì anche la tortura per verificare la veridicità della sua testimonianza, che si concluse con una condanna poco più che simbolica. Una vicenda che la espose pubblicamente e che in qualche modo influenzerà il corso della sua vita, dedicata a realizzare la passione per la pittura. Di lei restano soltanto poche notizie biografiche, le tracce disseminate nei luoghi che la videro protagonista di accademie di pittura e soggiorni in varie città d’Italia e all’estero, i verbali del processo (il primo processo per stupro che sia stato mai documentato), e i suoi quadri, che ne fanno “l’unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità” (Roberto Longhi). Certo è che ammirando il suo Giuditta e Oloferne si prova un brivido nel guardare il viso di lei mentre taglia la testa del tiranno, la concentrazione del gesto, la determinazione, la forza che si avverte scaturire dalle sue braccia. E ci sembrano credibili e verosimili le parole con le quali Anna Banti dipinge i pensieri della pittrice a proposito di quell’opera: “ Io l’ho dipinto, è come se avessi ucciso un prepotente”. Aver trasformato la rabbia in creatività è quello che l’ha salvata, come scrive la scrittrice in una pagina dolcissima: “ Spento ogni rancore, le pareva di stender la mano verso la violenza pentita, lei forte e senz’armi…Un senso d’indulgenza diffusa, allegra come un volo, la faceva, nel sonno, sorridere. Nel sonno il sorriso è quasi difficile come il pianto e bisogna liberarsene. – Ma io dipingo – scopre Artemisia, risvegliandosi: ed è salvata”.

Ma raccontando Artemisia, Anna Banti ha detto molto anche di sé stessa, lei che per tutta la vita si è sottratta a indulgenze autobiografiche, consegnando soltanto al suo ultimo romanzo, Un grido lacerante, la verità intera della propria passione tradita, “il grido del rancore e dell’orgoglio umiliato, della consapevolezza che esplode” (Grazia Livi). In realtà quel grido è simile a quello di Artemisia e delle tante protagoniste dei suoi racconti e romanzi.grido