La trilogia della pianura, di Kent Haruf

La trilogia della pianura, di Kent Haruf

Più tardi la donna era sdraiata con la testa posata sul braccio di lui e Raymond disse: Rose. Sei una cosa bellissima per un vecchio come me.

Non sei così vecchio, disse lei. Me l’hai appena dimostrato.

Adesso mi fai arrossire.

Non c’è motivo di arrossire. Sei un uomo in forma. E anche tu sei una bellissima cosa per me. Non ci sono tanti uomini come te in circolazione a Holt. Lo so, mi sono guardata intorno”.

(da Crepuscolodi Kent Haruf)

Di Kent Haruf si è scritto molto negli ultimi tempi, della sua Trilogia della pianura e del romanzo che più degli altri lo ha svelato al grande pubblico,  Le nostre anime di notte,  conferendo un’improvvisa fama a uno scrittore appartato e poco conosciuto da noi, fino alla sua scoperta da parte della casa editrice NNE.  Ne ho già scritto qui sul mio blog poco tempo fa.

In questi giorni  ho finito di leggere i tre romanzi ambientati nella immaginario contea di Holt, in Colorado: Benedizione, Canto della pianura, Crepuscolo, che compongono La trilogia della pianura. E mi dispiace. Mi ero affezionata a quei paesaggi e a quei personaggi, uomini e donne che somigliano ai luoghi in cui vivono. Vite difficili, che spesso non possono concedersi nemmeno il lusso dei sentimenti, o comunque di poterli esprimere. Ma quando ci riescono ne siamo felici, quasi più di loro, perché davvero se la meritano quel po’ di felicità, comunque la pensino in proposito, che quasi sempre capita all’improvviso, inaspettata .

“Lui riattaccò, salì di sopra, si mise una camicia pulita, entrò in bagno, si lavò i denti e si pettinò. Guardandosi allo specchio, disse ad alta voce, Non te lo meriti, non provare neppure a pensare di meritartelo”. (da Canto della pianura)

Sono donne, uomini, vecchi solitari, bambini costretti a crescere troppo in fretta e senza lamentarsi, madri che non riescono ad essere tali, anche se ci provano, davvero ci provano, almeno un po’. Amori che ce la mettono tutta a rispondere alle aspettative. Che si trascinano nei soliti luoghi fatti di strade polverose, ranch, locali fumosi dove si consuma birra bistecche e patatine fritte. E poi c’è l’ambiente circostante, un ambiente amico ma nello stesso tempo difficile, soprattutto se è inverno, e a Holt in effetti sembra quasi sempre inverno, e il terreno è gelato, occorre spaccare il ghiaccio negli abbeveratoi per gli animali, tira un vento che penetra tra le fessure delle vecchie case di legno, e sotto i vestiti. Ma anche se non è inverno l’ambiente circostante non è mai rigoglioso, siamo in Colorado.  Parlano tutti poco, solo quel tanto di indispensabile; ciò che accade nell’animo delle persone viene spesso lasciato intuire, spesso sono i gesti a chiarire i sentimenti, più che le parole. Le vite dei protagonisti si intrecciano le une con le altre, in questo luogo immaginario ma così reale; vite in apparenza minute, forse insignificanti, che si misurano ogni giorno con la fatica di tirare avanti il meglio possibile, a volte arrendendosi, come fanno gli arbusti sotto il vento del deserto, per tornare a respirare. Storie così lontane dal nostro abituale modo di vivere, eppure le sentiamo vicine, tanto da commuoverci alle loro vicissitudini; persino quelli che dovrebbero essere personaggi negativi alla fine suscitano un filo di compassione, perchè su ognuno di loro si è disteso lo sguardo pietoso del loro autore.

colorado