In punta di piedi nelle stanze della scrittura

In punta di piedi nelle stanze della scrittura

In un arco di tempo che va dal 1990 al 2001 la rivista Tuttestorie, fondata e diretta da Maria Rosa Cutrufelli, chiese a dodici scrittrici, scelte tra quelle che avevano dato un contributo significativo a far emergere la voce delle donne in letteratura, di raccontarsi a proposito della propria scrittura.

I racconti venivano pubblicati via via in una rubrica della rivista che si chiamava Scrivere, e se da un numero all’altro risuonava nitida la singola voce, ora è possibile cogliere tutta la valenza corale di quei contributi grazie al libro edito da Iacobelli nella collana I Leggendari, dal titolo Quella febbre sotto le parole, a cura di Maria Rosa Cutrufelli, che quelle voci aveva raccolto con autentica passione.

Tuttestorie in quegli anni diventò un luogo fondamentale per il dibattito sulla scrittura delle donne e palestra di confronto per tante che ancora muovevano i primi passi nel mondo delle parola scritta. Ognuna delle scrittrici interpellate aveva declinato il tema secondo il proprio personale sentire, delineando mappe per decifrare l’origine e le strade percorse attraverso “quella febbre”. Eppure il libro oggi, terminata la lettura, ci appare come un piccolo scrigno prezioso che racchiude un po’ tutte le tematiche su cui ogni scrittrice (e scrittore?) non può non interrogarsi: da dove è nata e come si è alimentata nel tempo la motivazione alla scrittura, da quale desiderio, curiosità del mondo o bisogno; che rapporto si crea tra vita e scrittura; come viene allestita la “stanza” metaforica e reale, quali attrezzi vengono messi in campo; e in conclusione, cosa rappresenta, e quale spazio occupa nella vita di ciascuna.

Per molte la passione per la parola scritta nasce con la lettura, quasi sempre precoce e solitaria: Elena Gianini Belotti inizia ad incuriosirsi alle storie attraverso la lettura degli annunci mortuari, immaginando quelle vite sconosciute intraviste tra le scarne descrizioni. Per Lia Levi l’idea di diventare scrittrice è stata presente fin dall’infanzia, costellata di letture forsennate e solitudini. Grazia Livi si esercita sin da bambina a travasare in versi emozioni ancora senza nome, mentre per Rosetta Loy la prima prova arriva a nove anni, quando in un racconto che lei definisce “un rimasticamento di letture” sperimenta per la prima volta un’idea di libertà attraverso la scrittura. Per Clara Sereni invece la lettura è stata un lungo apprendistato, attraversando tutte le tappe della formazione dell’infanzia e dell’adolescenza, per arrivare alla liberatoria scoperta di un libro “frivolo” ma appassionante, come Via col vento, “l’inizio del disordine nel personale mondo dei libri”.  Per Luce d’ Eramo il primo racconto, scritto all’età di diciotto anni, è di ispirazione autobiografica, ma la futura scrittrice escogita un accorgimento per prendere le distanze da un materiale ancora incandescente, inventandosi una distanza da se stessa e guardandosi con gli occhi del futuro. Secondo Lia Levi all’esordio è inevitabile che si prenda le mosse dal materiale autobiografico, ma poi occorre “uscire dalla trama d’ infanzia e mettere emozioni e idee al servizio di storie altrui”.

Il cuore delle problematiche inerenti alla scrittura è rappresentato dalle modalità attraverso le quali si concretizza il processo creativo: per Elena Gianini Belotti una storia inizia a radicarsi nella mente da un’immagine forte, che reclama di essere tradotta in parole. All’inizio c’è solo questo, manca un disegno preciso, che compare solo ad un certo punto rendendo più chiara la direzione che prenderà la storia. Anche per Rosetta Loy l’inizio può arriva da un’immagine, da una persona, una casa, un avvenimento, per poi dipanarsi e articolarsi intorno a una problematica comune a tutti i suoi lavori: il tempo e la vita, il loro incrociarsi e distruggersi a vicenda. Ci sono poi i riti e le abitudini che sottendono all’evolversi del processo creativo: c’è chi allestisce grafici e schemi da battaglia navale, come Francesca Duranti; chi approfitta del computer senza remore e chi invece sostiene di non poter fare a meno del rapporto fisico tra la mano e la scrittura, che dettano in simbiosi il ritmo della pagina. Per tutte è indispensabile poter chiudere una porta, avere silenzio intorno, non essere distolte. Anche quando la vita preme per essere vissuta, la dialettica tra le due vocazioni alla fine sembra sciogliersi con un pareggio: per Grazia Livi il conflitto tra vita quotidiana e scrittura si risolve con la comprensione che del giacimento di esperienza si nutre l’interiorità; per Rosetta Loy scrivere e vivere hanno la stessa importanza. Per Francesca Sanvitale “la vita e la scrittura crescono insieme e si alimentano l’una con l’altra, si intrecciano, dove va l’una va l’altra”. E se volessimo in conclusione chiederci se esiste una specifica cifra che contraddistingue le scrittrici che ci hanno parlato attraverso questo prezioso libro, forse consiste proprio in questo non voler rinunciare a niente, a questa caparbia determinazione che rappresenta una costante nella vita di tante donne che ogni giorno scelgono di seguire la propria strada, ovunque le porti.

Questo mio articolo è stato pubblicato nella rivista Leggendaria n. 127, e firmato per errore con un nome diverso dal mio, come evidanziato nell’errata corrige del numero 128.

 

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